Il ricordo: da Hiroshima Mon Amour, alle giornate della Memoria, alla Resistenza, a Genova.

«Come te anch’io ho cercato di lottare con tutte le mie forze contro la smemoratezza. E come te ho dimenticato. Come te ho desiderato avere un’inconsolabile memoria, una memoria fatta d’ombra e di pietra. Ho lottato da sola con violenza, ogni giorno, contro l’orrore di non poter più comprendere il perché di questo ricordo. Come te, ho dimenticato.»

(Hiroshima Mon Amour)


Hiroshima Mon Amour, di Alain Resnais, è uno dei capolavori della nouvelle vague. Hiroshima Mon Amour è un film meraviglioso. A una lettura superficiale sembra che il film parli di una storia d’amore e mezza di cui una si svolge nel presente della narrazione (Che è l’immediato secondo dopoguerra)  in Giappone, ad Hiroshima, appunto, e l’altra mezza che si svolge nel passato della narrazione (Durante l’occupazione tedesca della Francia), a Nevers. In realtà, Hiroshima Mon Amour è un film sulla memoria: la memoria individuale e la memoria collettiva. Anzi, la memoria individuale NELLA memoria collettiva.

Personalmente, con la memoria collettiva ho un rapporto ambiguo dai tempi del liceo, da quei 27 gennaio che si susseguivano identici anno dopo anno nella commemorazione imposta dall’alto di quegli ebrei morti (Si parlava quasi sempre solo di ebrei, nonostante le vittime dell’Olocausto NON fossero solo ebrei) che, probabilmente, mettevano non poco in crisi la mia visione adolescenziale “Tutto-bianco-o-tutto-nero” (“Ebrei buoni o ebrei cattivi? Ebrei vittime dei nazisti o carnefici dei palestinesi?”). Solo qualche anno dopo scoprii le sfumature di grigio ma tutta la questione “Giornate della memoria” mi lasciò un impronta traumatica che ebbe non poche ripercussioni nel mio rapporto personale con le commemorazioni.

Un paio d’anni fa, ho trovato l’equilibrio interiore riguardo alla questione memoria collettiva e memoria personale grazie al venticinque di  aprile. Il punto focale per sciogliere il nodo e riequilibrare l’opinione sulla questione è riuscire a dividere il concetto di memoria non in due subconcetti (Memoria collettiva e memoria individuale) quanto in tre:

Il primo subconcetto, introdotto ex novo, è la memoria istituzionale/mediatica. Per ritornare ad Hiroshima Mon Amour, nel film questo subconcetto è rappresentato benissimo nei vari dialoghi in cui lei asserisce di aver visto l’orrore di Hiroshima attraverso i notiziari in Europa e di essere stata nei vari musei commemorativi e lui continua a ripeterle, quasi come un mantra «Tu non hai visto niente, a Hiroshima».  Ovviamente, è chiarissimo che in questo subconcetto rientrano anche le “Giornate della Memoria”  di cui sopra, quelle cose che si impongono ad adolescenti annoiati e che finiscono per essere puntualmente un trionfo di retorica buonista pura quando va bene e di vittimismo filosionista quando va male.
Come vedremo in seguito, anche questo subconcetto, che dalle premesse sembra un costrutto sociale totalmente negativo, può avere la sua utilità.

Il secondo subconcetto è la memoria individuale. La memoria individuale può essere vissuta in maniera diretta o in maniera indiretta (O in maniera indirettamente diretta).  Rifacendoci sempre ad Hiroshima Mon Amour, la memoria individuale diretta è il ricordo che la protagonista, la Riva, ha della storia vissuta anni prima a Nevers. La memoria individuale indiretta, invece, è quella che lei, nel presente della narrazione del film, “trasferisce”, raccontandola, a lui, a Okada. Il terzo tipo di memoria individuale, quella “indirettamente diretta” è in realtà un sottotipo di entrambi i primi due: risponde alla domanda «Dov’eri, cosa facevi, mentre (…)?».
Ritornando dal film alla realtà, l’esempio di memoria individuale più vicino e vissuto che io possa fare è quello di Genova, dieci anni fa. La memoria individuale diretta, ovviamente, è quella di chi Genova, nei giorni del G8, l’ha vissuta, con tutte le botte, i lacrimogeni e la tensione emotiva. La memoria individuale indirettamente diretta è quella di chi racconta dov’era e cosa faceva nei giorni del G8 pur non essendo stato a Genova e non avendo vissuto direttamente quindi l’esperienza  (Lo stesso concetto ovviamente vale per l’11 settembre 2001 e via discorrendo). La memoria individuale indiretta, invece, è quella di chi vive un evento attraverso il racconto di qualcuno che lo ha vissuto direttamente.

Il punto focale è questo: cosa cambia tra la memoria individuale indiretta e la memoria mediatica? Qual è il legame, se c’è, tra i due subconcetti di memoria? La differenza sta tutta nell’impatto emotivo. Si ha la memoria individuale indiretta, quando, infatti, il narratore è in grado di trasmettere il proprio vissuto emotivo all’ascoltatore e l’ascoltatore è, a sua volta, abbastanza maturo e abbastanza sensibile al tema della narrazione da fare proprio quel vissuto emotivo.
Il legame tra i due concetti di memoria è semplice e spiega l’utilità del mezzo mediatico in caso di uso corretto: si può produrre memoria individuale indiretta anche attraverso il mezzo mediatico (O durante commemorazioni istituzionali o pseudotali), a patto che il vissuto emotivo del narratore (Che può essere anche un narratore indiretto, nel senso che è l’ascoltatore di un altro narratore e così via) riesca ad avere la meglio sui filtri imposti dalle convenzioni sociali e riesca ad essere poco filtrato.
I primi esempi che mi sovvengono a riguardo, nella mia esperienza personale sono il venticinque aprile, uno spettacolo su Genova che ho visto un paio di settimane fa al Depistaggio, il fumetto “Quella notte alla Diaz” di Christian Mirra, un bellissimo pezzo di Giuliano Santoro, sempre su Genova, altri svariati libri e film che al momento sarebbe un’impresa titanica citare, e le recentissime esperienze di #Fanciullacci, #unpartigianoalgiorno, #carlovive e @IoricordoGenova (Tutti su Twitter). @IoricordoGenova e #Fanciullacci hanno avuto avvio quasi contemporaneamente. Il primo, come suggerisce il nome, prende le mosse dai dieci anni dagli eventi del G8: si chiede, a chi voglia partecipare, una narrazione senza filtro e personale sul suo ricordo del periodo del G8 (Ricordo diretto o ricordo indiretto, come quello -bellissimo– di @Adrianaaaa). Il secondo, lanciato dai Wu Ming, è stata un’esperienza di commemorazione collettiva/informazione (Con un pizzico di sperimentazione mediatica), del partigiano Bruno Fanciullacci, figura controversa che moriva ieri nel 1944.  Gli ultimi due nati in ordine cronologico sono #carlovive, ovviamente “dedicato” a Carlo Giuliani e #unpartigianoalgiorno, lanciato da @classe_tumblr@uomoinpolvere, e @iliobarontini che si propone di creare una sorta di “Calendario collettivo della resistenza”.

La chiave che ha consentito a queste esperienze di non essere semplici “commemorazioni a mezzo mediatico” quanto “collettivizzazioni di memorie individuali” è stata la quasi assenza di filtri (Che, ricordo, è una delle discriminanti tra “memoria mediatica pura” e “memoria individuale indiretta”) alle diverse emotività delle esperienze personali che sono confluite, poi,  in quelle collettive. (Si ricordi che la “memoria collettiva” è il terzo subconcetto di memoria di cui parlavo sopra). Una quasi assenza di filtri (Quasi, perchè -ad esempio- #Fanciullacci, come notavano ieri i Wu Ming, nonostante fosse statisticamente tra i “Trending Topic”, non compariva nella lista) che è stata possibile grazie ai social media e alla loro pseudoorizzontalità (O quantomeno, a qualche ultimo barlume, a qualche apparenza di pseudo-orizzontalità), che invece manca del tutto nei media classici fin dalle loro origini.

E’ possibile quindi dare grazie ai social media una nuova forma, che non sia puramente retorica, alla memoria collettiva (E, attraverso la memoria collettiva, alla formazione di una coscienza collettiva)? Io personalmente, nonostante abbia ancora molte riserve sulla questione, sono speranzosa.

CREDITS:

-Alain Resnais, per Hiroshima Mon Amour.
-Il CSA Depistaggio & il  Teatro delle Condizioni Avverse per lo spettacolo su Genova (Quello linkato sopra). Il primo per averlo portato a Benevento e il secondo per averlo creato, recitato eccetera eccetera.
Christian Mirra, per “Quella Notte alla Diaz” (Linkato sopra, ndr)
-Le promotrici di “IoRicordoGenova“, che credo si chiamino Claudia ed Aurora.
-@Adrianaaaaaaa (Che è linkata sopra dal Twitter) per il suo racconto (Sempre linkato sopra)
-I Wu Ming, as usual. Il link di Giap è nei link affianco della Home.
-Bruno Fanciullacci, per esserci stato. E tutti gli altri partigiani che sarebbe impossibile citare qui in blocco, con una speciale menzione alle signore da parte del lato femminista di chi scrive.
-@amicoFaralla (Alias Giuliano Santoro, linkato sopra), per il pezzo su Genova sempre linkato sopra.
-@classe_tumblr, @Iliobarontini e @uomoinpolvere (Linkati sopra) per aver promosso l’iniziativa #unpartigianoalgiorno
@zero81 e @giovanni_pagano che stanno promuovendo #carlovive
-Carlo.
-Tutti quelli che ricordano veramente.
-Tutti quelli che si leggeranno sto pippone.

 ADD ON del 27/01/2012: Sulle “Giornate della Memoria” – Ricordo due cose: a) la memoria è molto di più di una giornata del cazzo in cui si fanno i pipponi sugli ebrei (perchè si parla quasi sempre solo di ebrei) a ragazzini annoiati. b) siccome nei lager non sono morti solo ebrei ma anche rom, omosessuali, compagni e compagne, è assolutamente sciocco, e riduttivo per la causa Palestinese (che io ho sempre nel cuore), trasformare la giornata di oggi in una giornata di rivendicazione filopalestinese, solo per fare gli alternativi.


2 Responses to “Il ricordo: da Hiroshima Mon Amour, alle giornate della Memoria, alla Resistenza, a Genova.”

  • StatiDiAgitazione

    Meritati! Per il resto, concordo sia con la prima che con la seconda parte del tuo discorso.
    Per il discorso Facebook, io credo che sia perchè A) E’, in un certo senso, dispersivo. Onestamente non credo al discorso sentito e risentito, e assolutamente semplicistico, “La gente che sta su Facebook è stupida, la gente che sta su Twitter è intelligente”. Quello che, secondo me, sul piano dell’informazione, delle iniziative e via discorrendo, rende Twitter vincente rispetto a Facebook sono gli hashtag, che diventano una sorta di “mezzo di collettivizzazione”. B) Essendo, come dici tu, “il più utilizzato in assoluto”, il più commerciale, il più “mainstream” è anche quello a cui sono stati messi più filtri, per tornare al discorso del post.

    (Su Facebook, intanto, ci lasciamo il Popolo Viola a fare i giochini con le pagine di precari fake e le rivelazioni ovvie sulla “Casta di Montecitorio”!)

    Eve B. @ StatiDiAgitazione

  • Adrianaaaa

    Grazie per il link, per i credits e per i complimenti!!:D
    Anch’io ho alcune riserve, il rischio di “normalizzazione” di esperimenti del genere, in un mondo così veloce come quello dei social network, è grossissimo.Mi viene anche da aggiungere, però, che l’avverarsi o meno di questa possibilità dipenderà dalla qualità delle iniziative, che per ora sono veramente interessanti.
    Credo anche che cose del genere sia impossibile farle sul social network che è più utilizzato in assoluto, facebook.